Onorevoli Colleghi! - È opinione consolidata nella classe politica, senza distinzione di parte, nei sindacati, fra gli studiosi del diritto del lavoro e naturalmente fra i lavoratori, che l'attuale sistema di ammortizzatori sociali sia iniquo, disorganico e poco efficiente a causa del sovrapporsi di una serie di interventi successivi che, come si legge nella relazione finale della cosiddetta «Commissione Onofri» del 1997, sono «ricollegabili in gran parte al prevalere di meccanismi di pressione, che escludono i gruppi e i soggetti meno rappresentati». Nello stesso documento si rilevava che la rigidità dei trattamenti costituisce, soprattutto per le categorie più privilegiate, un ostacolo ai processi di mobilità, che le varie misure di sostegno al reddito non sono collegate a politiche per il reinserimento lavorativo e che l'assenza di veri strumenti di assistenza porta a un utilizzo improprio e assistenzialistico di

 

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trattamenti che dovrebbero avere natura temporanea e servire ai processi fisiologici di mobilità e di reinserimento nel lavoro.
      La situazione è divenuta ancor più insostenibile perché, a fronte della domanda di maggiore flessibilità determinata in gran parte dalla più intensa competitività del mercato globale, è cresciuto il numero di lavoratori che sommano a periodi di lavoro fasi più o meno lunghe di disoccupazione, con le garanzie contrattuali introdotte dal «pacchetto Treu» del 1997 e dalla «legge Biagi» del 2003.
      Scriveva a questo proposito Marco Biagi che occorre «disporre anche in Italia di un nuovo assetto della regolazione e del sistema di incentivi e ammortizzatori, che concorra a realizzare un bilanciamento tra flessibilità e sicurezza».
      La necessità di riformare il sistema degli ammortizzatori sociali è stata presente anche ai precedenti Governi con i lavori della Commissione Onofri già ricordati, che portarono le parti sociali a sottoscrivere un breve documento che faceva riferimento a un'ipotesi relativamente limitata di aggiornamento della legge n. 223 del 1991. Successivamente, con la delega contenuta nell'articolo 45 della legge n. 144 del 1999, la questione della riforma degli ammortizzatori sociali fu riaperta, anche se il vincolo posto, che escludeva oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica, non facilitò la ricerca di una soluzione.
      L'attuale Governo ha, infine, ribadito la necessità di affrontare questo tema, prevedendo l'apertura di un confronto con le parti sociali sul riordino degli ammortizzatori sociali nei primi mesi del 2007 e di destinarvi risorse aggiuntive derivanti dalla lotta all'evasione fiscale e contributiva.
      Per poter affrontare in maniera organica questa riforma, sulla cui necessità e urgenza concordano sia i partiti di maggioranza che quelli di opposizione, è necessario innanzitutto analizzare quali sono gli elementi di iniquità e di inefficienza dell'attuale sistema di ammortizzatori sociali, soprattutto al fine di aiutare il disoccupato a trovare un nuovo lavoro in tempi più brevi, migliorando nel contempo le sue competenze professionali e quindi la sua occupabilità.
      L'iniquità dell'attuale sistema di ammortizzatori sociali deriva innanzitutto dal fatto che solo una parte dei disoccupati è protetta con misure di integrazione al reddito e che fra tali soggetti vi sono profonde diversità per quanto riguarda l'entità e la durata del trattamento di disoccupazione. Questo trattamento non viene perciò erogato in relazione allo status di disoccupato, ma sulla base dell'appartenenza a determinate categorie con maggiori o minori capacità contrattuali. È opportuno, a questo proposito, analizzare gli indicatori statistici che fotografano la situazione reale del livello di copertura degli ammortizzatori sociali rispetto alle persone in cerca di occupazione.
      La seguente tabella 1 mostra i beneficiari di tutte le politiche passive nel 2005: il tasso di copertura, escludendo i lavoratori formalmente occupati [cassa integrazione guadagni ordinaria (Cigo) e cassa integrazione guadagni straordinaria (Cigs)] e i prepensionati che sono usciti dalle forze di lavoro, è pari al 28,5 per cento, quindi di gran lunga inferiore a quello che si registra negli altri Paesi europei (80 per cento in Germania con 4.285.570 beneficiari e 71 per cento in Francia con 2.676.919 beneficiari). Anche in Spagna si registra un numero di beneficiari doppio rispetto all'Italia (1.262.613).
 

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TABELLA 1
Beneficiari di politiche passive nel 2005
(stock medio annuo) (migliaia)

Cassa integrazione guadagni ordinaria 82,1
Cassa integrazione guadagni straordinaria 58,8
Indennità di mobilità 110,0
Indennità di disoccupazione speciale edile 1,4
Indennità di disoccupazione ordinaria nell'edilizia 28,4
Indennità di disoccupazione non agricola ordinaria 137,3
Indennità di disoccupazione non agricola con requisiti ridotti 128,0
Indennità di disoccupazione agricola ordinaria 36,7
Indennità di disoccupazione agricola con requisiti ridotti 1,9
Indennità di disoccupazione agricola speciale (40%) 51,7
Indennità di disoccupazione agricola speciale (66%) 43,6
Pensionamenti anticipati 95,5
    Totale 775,4
    Totale senza Cigo, Cigs e prepensionamenti 539,0
Persone in cerca di lavoro (media 2005) 1.889
Tasso di copertura (%) 28,5
    Totale Cigs, mobilità, disoccupazione speciale edile e disoccupazione non agricola ordinaria 307,5
Persone in cerca di lavoro con precedente esperienza lavorativa 1.356
Tasso di copertura (%) 22,5
Persone che passano dallo stato di occupazione a quello di disoccupazione 817
Tasso di copertura (%) 37,6

Fonte: Rapporto di monitoraggio del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

      Questo tasso di copertura è solo parzialmente corretto perché tra le persone in cerca di lavoro non sono compresi i lavoratori che beneficiano di integrazioni al reddito per lavori saltuari (le indennità di disoccupazione a requisiti ridotti e in generale i trattamenti che vengono erogati a consuntivo rispetto all'anno precedente a lavoratori che nel momento dell'intervista da parte dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) potrebbero essere occupati).
      Più vicino alla realtà è il tasso di copertura del 22,5 per cento nel quale sono prese in considerazione, da una parte, solo le persone in cerca di occupazione con precedenti esperienze lavorative e, dall'altra, solo i trattamenti in caso di cessazione del rapporto di lavoro (Cigs, mobilità, disoccupazione non agricola ordinaria e indennità di disoccupazione speciale edile), comprendendo anche la Cigs che è, nei fatti, lo strumento sempre più usato per le crisi aziendali piuttosto che per le riorganizzazioni industriali. Infatti le imprese che hanno utilizzato la Cigs per crisi aziendale sono passate nel 2005, rispetto all'anno precedente, dal 40,1 per cento al 54,7 per cento e quelle che l'hanno utilizzata per riorganizzazione aziendale sono diminuite dal 14,9 per

 

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cento al 13,6 per cento. Inoltre, l'ISTAT considera disoccupato anche il lavoratore in Cigs che cerca un'occupazione (il lavoratore in Cigs è considerato dall'ISTAT persona in cerca di lavoro se la durata della cassa è superiore ai tre mesi, se percepisce meno del 50 per cento dello stipendio e se si dichiara disponibile a lavorare).
      Un altro tasso di copertura può essere calcolato solo sulle persone che passano dallo stato di occupazione a quello di disoccupazione, e in tale caso si ha un valore pari al 37,6 per cento.
      L'analisi dei tassi di copertura ci dice, in ogni caso, che in Italia, su 100 lavoratori in cerca di occupazione, poco più di un quarto riceve un sostegno al reddito in caso di perdita del lavoro e di questi «privilegiati» solo un terzo riceve un'indennità di entità e di durata consistenti (l'80 per cento dell'ultima retribuzione per almeno due anni), mentre gli altri due terzi beneficiano dell'indennità di disoccupazione ordinaria che copre per sei mesi il 50 per cento dell'ultima retribuzione e per il mese residuo il 40 per cento. Se il tasso di copertura è calcolato solo sui lavoratori che passano dallo stato di disoccupazione a quello di occupazione si raggiunge il 59 per cento.
      Un secondo limite dell'attuale sistema di ammortizzatori sociali è la mancata copertura assicurativa nei confronti di quei lavoratori con contratti non standard, che passano da un'attività all'altra con frequenti periodi di disoccupazione e l'assenza di misure per i lavoratori autonomi. I lavoratori non standard sono circa 2,7 milioni mentre gli autonomi sono circa 6 milioni (vedi tabella 2).
      Fra i lavoratori non standard vi sono innanzitutto i dipendenti a tempo determinato, circa 2 milioni, che possono beneficiare solo della modesta indennità di disoccupazione ordinaria, i collaboratori (co.co.co e co.co.pro) che sono 377.000 e sono soggetti a frequenti periodi di disoccupazione, ma che non possono accedere ad alcuna misura integrativa per la perdita del lavoro, gli apprendisti (244.000) e i prestatori d'opera occasionali (89.000) che sono esclusi dai sussidi per disoccupazione.

TABELLA 2
Ripartizione delle forze di lavoro (x 1.000) (media 2005)

Forze di lavoro 24.451
In cerca di occupazione 1.889
Occupati 22.563
    Tempo pieno 19.666
    Part time 2.897
Dipendenti 16.534
    Dipendenti a tempo indeterminato 14.507
    Dipendenti a tempo determinato 2.026
    Dipendenti a tempo pieno 14.381
    Dipendenti part time 2.152
Indipendenti 6.029
Lavoratori non standard 2.727
    Dipendenti a tempo determinato 2.026
    Collaboratori coord. continuativi (co.co.co., co.co.pro) 377
    Apprendisti 244
    Prestazioni occasionali 80
Unità di lavoro non regolari (2003) 3.238

Fonte: ISTAT.

      Vi sono poi gli oltre 6 milioni di lavoratori autonomi che, fatte salve alcune eccezioni (gli artigiani, per esempio), non hanno alcuna tutela per i periodi di disoccupazione.
      Il terzo limite del sistema degli ammortizzatori sociali italiano è costituito da un vizio d'origine, perché nato prevalentemente per garantire il posto di lavoro nelle grandi imprese, soprattutto del settore industriale, piuttosto che per assicurare ai lavoratori le condizione per trovare più facilmente un altro impiego, possibilmente di migliore qualità, e cioè una piena occupabilità durante tutta la vita lavorativa, attraverso strumenti assicurativi generalizzati, ma che siano di breve durata anche perché collegati a misure attive per la ricerca del lavoro e per la formazione professionale.
      Da questa impostazione di fondo si spiega l'assoluta prevalenza di istituti, come la Cigo e la Cigs - sconosciuti nel resto dei Paesi industrializzati, che le

 

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Agenzie internazionali, fra cui l'Eurostat, sono costrette con disagio a classificare fra gli «out-of-work income maintenance and support», anche se i loro beneficiari non sono, almeno formalmente, disoccupati - che prevedono la conservazione del posto di lavoro anche quando lo stato di crisi è irreversibile e palese, e prevedono sussidi eccessivamente «generosi», di lunga durata e deroghe troppo numerose. La Cigs, in particolare, è sempre più spesso utilizzata come anticamera della mobilità, per prolungare anche per 7 anni l'erogazione dei sussidi (36 mesi per Cigo + 48 mesi per mobilità) in alcune aree del Paese.
      Queste misure, oltre che sottrarre risorse che potrebbero essere utilizzate con maggiore efficacia generale per ampliare la platea dei beneficiari a tutti coloro che passano dallo stato di occupazione a quello di disoccupazione in modo da consentire loro di trovare più facilmente e più velocemente un lavoro, producono una progressiva espulsione dei «beneficiari» dal mercato del lavoro e una loro dequalificazione non più sanabile per l'assenza di aggiornamenti professionali, oltre che contribuire ad alimentare per una quota non irrilevante il lavoro nero.
      Occorre anche osservare, a questo proposito, che sussidi troppo generosi che coprono - nel caso di Cigo, Cigs e mobilità - l'80 per cento dell'ultima retribuzione, con la possibilità di prolungare il periodo di trattamento per molti anni (anche 4 anni nel Mezzogiorno per l'indennità di mobilità) e in alcuni casi fino al pensionamento (la mobilità lunga), appaiono gravemente iniqui nei confronti della maggioranza dei lavoratori che, come abbiamo visto, per tre quarti non sono coperti da alcuna misura di integrazione al reddito in caso di disoccupazione o che possono aspirare ai modesti sussidi dell'indennità di disoccupazione.
      Ma anche a prescindere da queste considerazioni, un sussidio di disoccupazione troppo «generoso» non solo non migliora le condizioni di vita e di carriera del lavoratore, ma lo disincentiva a cercare un altro lavoro, creando problemi sociali di non poco conto. È infatti evidente che una persona, in cerca di lavoro, in assenza di altri vincoli e incentivi («welfare to work») accetterà un'offerta rivoltagli solo quando il salario offerto supererà o eguaglierà un valore critico definito «salario di riserva», nel nostro caso il sussidio di disoccupazione. In generale, infatti, il guadagno che deriva dall'accettare un'offerta di lavoro è pari alla differenza tra l'effettivo salario ottenuto e i redditi alternativi percepiti grazie allo stato di disoccupazione, quali il sussidio cumulato ad altri benefit, il valore attribuibile al tempo libero e sicuramente anche la possibilità di integrare il sussidio con il lavoro irregolare, come vedremo più avanti. Vi è poi, prevalente, l'interesse del datore di lavoro di utilizzare, in nero, un lavoratore sussidiato, perché il compenso pattuito, sicuramente inferiore ai minimi contrattuali, risulterà sempre vantaggioso per entrambi. Il guadagno che invece può derivare dal proseguire la ricerca di lavoro è dato dai redditi che si ipotizzano di poter ottenere nel futuro, scontati del tasso di interesse. La probabilità per un lavoratore di fare ritorno all'occupazione diminuisce al crescere del salario di riserva e cioè del sussidio. Come è facilmente intuibile, infatti, valori più elevati del salario di riserva aumentano il relativo valore dello stipendio per il quale il lavoratore sarebbe disposto ad abbandonare lo stato di disoccupazione.
      La generosità dei trattamenti di Cigs e di mobilità, l'assenza di un limite temporale certo, l'estensione del lavoro irregolare non sanzionato, la speranza per i disoccupati più anziani di poter essere «traghettati» verso la pensione, disincentivano obiettivamente il lavoratore dalla ricerca attiva e dall'accettazione di un posto di lavoro. Sono assenti, del resto, gli stimoli e i servizi volti a migliorare le proprie capacità professionali, che potrebbero consentire di ambire a un lavoro meglio retribuito e quindi a rendere meno conveniente accontentarsi del salario di riserva. L'impresa, dal suo canto, ha tutto l'interesse a favorire proroghe e deroghe dei trattamenti che riducono ulteriormente il costo del lavoro.
 

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      Il quarto, forse il più importante, elemento di criticità dell'intero sistema degli ammortizzatori sociali, strettamente collegato alle precedenti considerazioni, è l'assenza di integrazione fra le politiche passive - i sussidi di disoccupazione - e le politiche attive, cioè il complesso integrato di servizi personalizzati che, attraverso percorsi di orientamento e formativi calibrati sui fabbisogni professionali dell'impresa, aiuti il disoccupato a essere più «occupabile» nel mercato del lavoro e, quindi, a trovare più velocemente un nuovo posto di lavoro.
      Questa mancata integrazione produce gravi distorsioni nell'utilizzo dei sussidi, isolamento del disoccupato, prolungamento, grazie anche alle deroghe, del periodo di inattività, progressiva emarginazione dal mercato del lavoro a causa del mancato aggiornamento delle sue competenze professionali e anche possibili abusi per l'incentivo che questo sistema determina a integrare il sussidio con attività non regolari. Determina soprattutto l'assenza di quella «mutual obligation», diffusa nei Paesi che praticano politiche di «welfare to work», in cui, a fronte dell'erogazione di un sussidio, il lavoratore s'impegna a una ricerca attiva di un impiego, pena la sospensione o la decadenza dal sussidio.

      Il modello di «welfare to work» utilizzato e sperimentato nella maggior parte dei Paesi europei con politiche del lavoro più evolute, prevede azioni combinate e integrate di politiche attive del lavoro, politiche di sostegno al reddito e politiche di sviluppo locale che hanno come obiettivo l'aumento delle opportunità e delle possibilità di occupazione per i disoccupati delle fasce deboli. Il punto di forza di questo modello è integrare le politiche attive e passive prevedendo che ogni destinatario di ammortizzatori sociali, di formazione personalizzata e di servizi di collocamento sia responsabilizzato con la sottoscrizione del «patto di servizio» con il centro per l'impiego e con il suo concorso attivo nella ricerca del lavoro, in ciò aiutato dalla rete di servizi pubblici per l'impiego e degli intermediari privati, autorizzati e accreditati da Stato e regioni secondo la normativa vigente. Le azioni contestuali e altrettanto decisive nei confronti delle imprese per rilevare i fabbisogni occupazionali e formativi e per la preselezione dei candidati facilitano l'incontro fra i bisogni delle aziende e l'offerta di lavoratori più qualificati.
      L'azione sanzionatoria nei confronti degli abusi e delle inadempienze è particolarmente stringente. A titolo d'esempio la tabella 3 (tratta da T. Boeri, R. Layard e S. Nickell, «Welfare-to-Work and the fight against long-term unemployment» Report to Prime Ministers Blair and D'Alema, 21 february 2000) mostra il numero di benefit sospesi nel Regno Unito nel biennio 1998/1999 e le inadempienze che hanno determinato tali decisioni (in quel periodo si registravano circa 1,3 milioni di disoccupati). È interessante notare che fra le cause di taglio dei benefit le più frequenti sono l'abbandono senza giusta causa del posto di lavoro e la mancata presenza ai colloqui.

TABELLA 3
Motivi di sospensione dei sussidi di
disoccupazione nel Regno Unito (1998/1999)

Si sono licenziati senza giusta causa (Lost job through quitting without good cause) 103.000
Sono stati licenziati per giustificato motivo (Lost job through misconduct) 23.000
Non disponibili a lavorare (Not available for works) 15.000
Inattivi nella ricerca del lavoro (Not actively seeking work) 17.000
Non si sono presentati alle interviste (Failed to attend interview) 94.000
Hanno rifiutato l'offerta di lavoro (Refused work) 11.000
Hanno rifiutato di partecipare ai programmi formativi (Refused to attend course programme) 14.000
    Totale 277.000
 

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      Sulla base del Jobseeker's Agreement stipulato con i Jobcenter-Plus - il nostro «patto di servizio» fra centro per l'impiego e il percettore di sussidi di disoccupazione - il disoccupato deve recarsi periodicamente (ogni due settimane) presso l'ufficio di collocamento per firmare il registro e per brevi colloqui (circa 5 minuti) nel corso dei quali gli sono prospettate le offerte d'impiego. Successivamente questi colloqui non sono più informativi, ma servono a costruire una strategia di occupazione che può prevedere la partecipazione del disoccupato a corsi di formazione o la sua assunzione nell'ambito dei posti di lavoro sovvenzionati dallo Stato. In ogni caso, dopo 13 settimane di sussidi si ha l'obbligo di accettare qualsiasi tipo di lavoro offerto, anche se questo comporta spostamenti fino a un'ora dalla propria abitazione. Se il disoccupato non rispetta questi obblighi può essere sanzionato con la riduzione dei sussidi o con la loro soppressione.
      È utile rilevare che gli uffici di collocamento nel Regno Unito (Jobcenter-Plus) sono circa 1.500 e occupano quasi 90.000 operatori impegnati prevalentemente ad aiutare le persone a trovare lavoro e le imprese, attraverso gli accont, a trovare le figure professionali di cui hanno bisogno. In Italia la rete dei centri per l'impiego è composta da 536 uffici e il personale è costituito da 15.590 addetti, in buona parte provenienti dai vecchi uffici di collocamento e a cui si sono aggiunti molti co.co.co che, fra l'altro, sono utilizzati per le attività più qualificate.
      Occorre rilevare, a questo proposito, che anche in Italia è in vigore una normativa stringente, sulla carta (articolo 1-quinquies del decreto-legge 5 ottobre 2004, n. 249, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 dicembre 2004, n. 291, il cui contenuto è stato ribadito e precisato dalla circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali n. 5 del 22 febbraio 2006, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 52 del 3 marzo 2006), che vincola l'erogazione dell'indennità di disoccupazione all'impegno da parte del disoccupato alla ricerca attiva del lavoro o a partecipare a interventi formativi o comunque a progetti proposti dai servizi per l'impiego o dalle agenzie del lavoro e che prevede la sospensione o la decadenza dal trattamento di disoccupazione con la perdita dell'indennità per il lavoratore che rifiuti di partecipare a queste attività oppure non accetti le offerte di lavoro congrue al suo profilo professionale, anche a termine, inquadrate in un livello retributivo non inferiore del 20 per cento rispetto a quello di provenienza e in un luogo mediamente raggiungibile in 80 minuti con i mezzi pubblici o distante non più di 50 chilometri dal luogo di residenza del lavoratore.
      Questa norma è, nei fatti, inapplicabile e inapplicata (le sanzioni irrogate sono solo poche centinaia) per una serie di motivi, tra cui la separazione fra il soggetto che eroga il sussidio e i centri che dovrebbero erogare i servizi e comunicare all'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) le inadempienze, ma anche a causa dell'assetto federale che assegna alla competenza legislativa esclusiva dello Stato le politiche passive e a quella concorrente di Stato e regioni le politiche attive. Dal punto di vista strettamente amministrativo i centri per l'impiego sono sottoposti alle competenze delle province, con un ruolo di indirizzo e coordinamento da parte delle regioni, mentre le politiche passive sono gestite in maniera esclusiva dall'INPS, con scarsi rapporti, a parte quelli informativi, con il Ministero del lavoro e della previdenza sociale.
      Per sintetizzare le distorsioni che produce questo assetto basti pensare che l'obbligo per i centri per l'impiego provinciali di offrire i servizi di formazione e di reimpiego e di comunicare all'INPS le eventuali inadempienze del beneficiario è impedito da un semplice dettaglio: i servizi per l'impiego non conoscono, se non con grandi ritardi e solo se si attivano autonomamente, i nominativi delle persone che presentano direttamente, o attraverso l'impresa, la domanda all'INPS per ottenere i diversi sussidi di disoccupazione e, di conseguenza, non possono convocare i beneficiari

 

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per l'erogazione dei servizi di formazione e ricollocamento, e tantomeno certificare le inadempienze. Non esiste, infatti, una interconnessione fra la banca dati dell'INPS e i diversi sistemi informativi del lavoro (SIL) utilizzati dai centri per l'impiego.
      L'unico caso in cui l'integrazione fra politiche passive e attive è effettivamente realizzata si registra nella concessione degli ammortizzatori sociali in deroga (Cigs e mobilità) grazie al fatto che, sulla base di progetti di assistenza del Ministero del lavoro e della previdenza sociale la sua agenzia tecnica «Italia Lavoro Spa» è in grado, per le modalità con cui questo trattamento è erogato, di costituire una banca dati che registra in tempo reale i nominativi dei lavoratori beneficiari dei sussidi e può, di conseguenza, coordinare con i centri per l'impiego l'erogazione dei servizi, la sottoscrizione del patto di servizio con il lavoratore e la registrazione delle eventuali inadempienze. Queste azioni producono anche una valorizzazione dei centri per l'impiego, determinano l'aumento di qualità dei servizi personalizzati che erogano, migliorano il grado di soddisfazione degli utenti (disoccupati e imprese) e sollecitano i servizi pubblici a creare reti aperte e collaborative con gli altri soggetti pubblici e privati coinvolti nelle attività (università, intermediari privati, sistema della formazione professionale, enti previdenziali, servizi sociali eccetera), per rendere più efficace l'azione di reimpiego dei disoccupati.
      La mancata integrazione fra politiche attive e passive ha anche un'incidenza sul grave fenomeno dei lavoratori irregolari poiché «le diverse forme d'indennità di disoccupazione, collegate ad un sistema di politiche attive che vincoli il lavoratore ad un patto di regolarità e responsabilità rappresentano un deterrente formidabile contro il lavoro irregolare» (Maurizio Sorcioni, Le politiche attive come strumento per prevenire il lavoro irregolare, «Diritto e Libertà», n. 12, 2006, Mariano Giustino editore).
      Dalle analisi sui beneficiari delle indennità di mobilità emerge, infatti, un fenomeno apparentemente inspiegabile: i lavoratori che usufruiscono di quasi tutto il periodo di indennità e, allo scadere della stessa, si occupano direttamente con un contratto a tempo indeterminato. La dinamica appare difficilmente giustificabile se non ipotizzando un rapporto di lavoro sommerso che, in base a un patto conveniente per datore di lavoro e lavoratore, viene regolarizzato soltanto alla fine del periodo di mobilità: appare infatti poco plausibile che questi lavoratori, che riescono, in prossimità della «dead line», ad occuparsi direttamente a tempo indeterminato, non siano riusciti invece per molti mesi a reperire un'offerta di lavoro a tempo determinato. Tra i beneficiari di indennità che prolungano in tale modo l'avviamento al lavoro si ritrovano in misura maggiore le fasce più deboli del mercato del lavoro; risultano essere sovra-rappresentati quanti provengono da aziende del sud, le donne e i lavoratori che nel lavoro precedente risultavano essere i meno retribuiti.
      Integrare, quindi, l'erogazione dei contributi con obblighi stringenti per il beneficiario dei sussidi che comportino attività incompatibili con il lavoro non regolare (colloqui con il centro per l'impiego, corsi formativi, colloqui con le imprese eccetera) e la conseguente riduzione dei tempi per il rientro nel mercato del lavoro, riduce sensibilmente le possibilità di lavoro irregolare.
      Per ultimo non si può non accennare a un'altra criticità strutturale del sistema di ammortizzatori sociali italiano, costituita dalla stratificazione normativa conseguente a un numero eccessivo di istituti e di deroghe, di volta in volta adattati alle richieste di specifiche categorie, che produce peraltro un'incertezza interpretativa delle norme a causa della sovrapposizione di delibere, circolari e decreti di non facile coordinamento.
      La presente proposta di legge delega intende superare le criticità prima analizzate attraverso un intervento organico basato sulle seguenti soluzioni:

          1) costruire un nuovo sistema di ammortizzatori sociali basato su tre livelli,

 

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recependo il suggerimento della Commissione Onofri:

              a) trattamenti in caso di sospensione temporanea per ristrutturazione, riorganizzazione e conversione aziendale con la conservazione del rapporto di lavoro;

              b) trattamenti in caso di passaggio dallo stato di occupazione a quello di disoccupazione estesi a tutti i lavoratori dipendenti, autonomi, parasubordinati e del pubblico impiego;

              c) interventi di tipo assistenziale in caso di esaurimento del diritto alle precedenti prestazioni o nei casi in cui il disoccupato non può beneficiare dei trattamenti precedenti, nei quali ricadono, in attesa di una loro riforma, le altre modalità di integrazione al reddito e tutte le attuali indennità a requisiti ridotti in tutti i settori, compreso quello agricolo;

          2) creare un nuovo sistema organico di ammortizzatori sociali che semplifichi l'attuale stratificazione normativa e l'alto numero di trattamenti, fondato su due soli istituti e su una strategia che preveda lo spostamento delle tutele e delle protezioni dalla garanzia del posto di lavoro all'assicurazione di una piena occupabilità durante tutta la vita lavorativa, attraverso strumenti assicurativi generalizzati, ma che siano di breve durata anche perché collegati a misure attive per la ricerca del lavoro e per la formazione:

              a) prevedere un unico trattamento in caso di sospensione temporanea per ristrutturazione, riorganizzazione e conversione aziendale con la conservazione del rapporto di lavoro - integrazioni al reddito a tutela delle riduzioni delle ore lavorate - sostitutivo della Cigs, esteso agli apprendisti, operai, impiegati e quadri di tutte le imprese, anche con meno di 15 addetti e a prescindere dalla tipologia contrattuale; disincentivare l'utilizzo di questo istituto come sostitutivo del licenziamento, riducendo la sua durata e parificando i suoi tassi di copertura all'indennità di disoccupazione, prevedendo il divieto di utilizzarlo a zero ore ed escludendo deroghe;

              b) prevedere un secondo e unico trattamento - l'indennità di disoccupazione - in caso di passaggio dallo stato di occupazione a quello di disoccupazione per licenziamento o per mancato rinnovo del contratto di lavoro a tempo determinato con esclusione dei lavoratori che si siano dimessi volontariamente, a meno che non si tratti di dimissioni per giusta causa, sostitutivo dell'indennità di disoccupazione ordinaria, della Cigs, dell'indennità di mobilità, dell'indennità di disoccupazione speciale edile e delle concessioni in deroga;

              c) prevedere che le singole categorie di lavoratori autonomi, ove decidano volontariamente che i propri associati versino i contributi per i trattamenti in caso di cessazione del rapporto lavoro, anche attraverso fondi settoriali la cui gestione economica deve essere autosufficiente, possano beneficiare dell'indennità di disoccupazione. Per le collaborazioni coordinate e continuative l'adesione alle contribuzioni assicurative per l'indennità di disoccupazione è obbligatoria, alla luce della estrema debolezza di questa categoria di lavoratori più degli altri soggetti a periodi di disoccupazione;

              d) prevedere che il tasso di copertura dell'indennità di disoccupazione rispetto all'ultimo stipendio e la durata del sostegno al reddito siano equi e sufficienti per la ricerca del lavoro e per la partecipazione ai percorsi formativi, ma non disincentivino la ricerca del lavoro: un sussidio pari al 65 per cento dell'ultimo salario lordo percepito per i primi sei mesi di disoccupazione, percentuale che scende al 55 per cento dal settimo al diciottesimo mese, e un reddito pari a 500 euro per sei mesi, a favore di chi abbia accumulato un periodo di permanenza nello stato di disoccupazione superiore a diciotto mesi;

              e) prevedere rigorosi criteri di eleggibilità e cioè le condizioni che devono essere soddisfatte dal lavoratore disoccupato per poter beneficiare dell'indennità di disoccupazione. Prevedere che l'erogazione

 

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dell'indennità in caso di cessazione del rapporto di lavoro sia legata in modo vincolante a politiche per il reinserimento dei lavoratori e che l'erogazione di tale indennità sia strettamente vincolata alla sottoscrizione da parte del disoccupato di un patto di servizio che lo impegni alla ricerca attiva del lavoro o a partecipare a interventi formativi o comunque a progetti proposti dai centri per l'impiego o dalle agenzie autorizzate e accreditate nonché prevedere la sospensione o la decadenza dal beneficio nel caso in cui il disoccupato rifiuti i percorsi formativi o le convocazioni del servizio per l'impiego o le offerte di lavoro congrue al suo profilo professionale, anche a termine;

              f) prevedere che la gestione e il coordinamento del processo di autorizzazione dell'erogazione dell'indennità di disoccupazione da parte dell'INPS, il coordinamento e l'assistenza tecnica delle politiche attive rivolte ai suoi beneficiari e l'esecuzione delle sanzioni siano affidati all'istituenda Agenzia nazionale per la gestione dell'indennità di disoccupazione e il reinserimento dei lavoratori disoccupati, sotto il controllo del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, integrata con i rappresentanti delle regioni, con l'obiettivo di aumentare l'occupabilità dei disoccupati e di ridurre in modo significativo i tempi medi del loro rientro nel mercato del lavoro. In questo modo viene superata, nei fatti, la separazione fra chi eroga il sussidio e chi gestisce le politiche attive perché la richiesta del sussidio da parte del lavoratore non viene più effettuata direttamente all'INPS, ma viene intermediata dai centri per l'impiego e dall'Agenzia nazionale, che ha anche il compito di disporre la sospensione del sussidio nel caso di inadempienza del beneficiario una volta che è stata accertata dal centro per l'impiego;

              g) prevedere di assegnare all'agenzia tecnica del Ministero del lavoro e della previdenza sociale «Italia Lavoro Spa» il ruolo e i compiti dell'Agenzia nazionale prevista dalla lettera f). Questo sia per evitare spese aggiuntive per la costituzione di un nuovo ente sia, soprattutto, per le competenze acquisite da «Italia Lavoro Spa» nella gestione delle politiche di «welfare to work» per il reinserimento dei lavoratori svantaggiati nell'ambito degli ammortizzatori sociali in deroga (Cigs e indennità di mobilità). Il modello di gestione dei flussi fra centri per l'impiego, INPS e Agenzia nazionale previsti dalla presente proposta di legge è stato costruito, infatti, non tanto sulla base di evidenze teoriche, quanto sulla base delle esperienze pratiche e di modelli di servizio delle azioni di «welfare to work» di «Italia Lavoro Spa» effettivamente sperimentate nella gestione degli ammortizzatori in deroga;

          3) per quanto riguarda i costi si propone di:

              a) finanziare i due trattamenti all'interno di un sistema assicurativo basato - a decorrere, al più tardi, dal 2012 - interamente sul prelievo contributivo, proporzionale alle retribuzioni, a carico di lavoratori e di imprese, senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica;

              b) prevedere l'istituzione di un fondo da finanziare con la fiscalità generale per rafforzare il sistema dei servizi pubblici per l'impiego e dell'Agenzia nazionale;

              c) prevedere la possibilità da parte delle regioni di deliberare benefìci più favorevoli rispetto a quelli previsti dalla presente proposta di legge, senza oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica.

      A questo proposito è utile, in via preliminare, verificare, da una parte, se la spesa per la protezione sociale e in particolare quella per le politiche attive e passive del lavoro dell'Italia siano in linea con quelle degli altri Paesi membri dell'Unione europea e, dall'altra, valutare quali siano i costi dell'attuale sistema e i saldi fra contributi ed erogazioni.
      Come si può vedere nella tabella che segue (tabella 4), la spesa per tutti gli interventi di protezione sociale (pensioni, malattia, invalidità, disoccupazione, famiglia, inclusione sociale eccetera) dell'Italia

 

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si è mantenuta, nel corso degli ultimi dieci anni considerati, sostanzialmente di due punti percentuale al di sotto della media dell'Unione europea con 15 Paesi membri, con una lieve riduzione nel 2004 (-1,5 per cento). Se si valuta la spesa per il welfare con un altro indicatore, ovvero la spesa pro capite a parità di valore di acquisto, l'Italia è allineata alla media dei 14 Paesi europei più sviluppati.

TABELLA 4
Spesa per la protezione sociale (come percentuale del PIL)

  EU-15 Germania Spagna Francia Italia UK
1995 27,7 28,2 21,6 30,3 24,2 28,2
1996 27,9 29,3 21,5 30,6 24,3 28,0
1997 27,6 28,9 20,8 30,4 24,9 27,5
1998 27,2 28,8 20,2 30,0 24,6 26,9
1999 27,1 29,2 19,8 29,9 24,8 26,4
2000 26,9 29,2 19,7 29,5 24,7 27,1
2001 27,1 29,3 19,5 29,6 24,9 27,5
2002 27,4 29,9 19,8 30,4 25,3 26,4
2003 27,7 30,2 19,9 30,9 25,8 26,4
2004 27,6 29,5 20,0 31,2 26,1 26,3
Fonte: Eurostat.

      La vera anomalia italiana risiede, piuttosto, nella ripartizione della spesa per il welfare per tipo di intervento. Come si può vedere nella tabella che segue (tabella 5), le spese per malattia e pensioni (vecchiaia, anzianità e reversibilità) assorbono più del 90 per cento della spesa totale e queste ultime sono superiori alla media europea di ben 15 punti percentuale. Le spese per le politiche attive e passive per contrastare la disoccupazione sono decisamente modeste e inferiori di 4,5 punti percentuali rispetto alla media dei Paesi europei più sviluppati.

TABELLA 5
Ripartizione della spesa per la protezione sociale come percentuale sul totale (2004)

 
EU-15
Italia
Famiglia/Bambini 7,5 4,3
Disoccupazione 6,4 1,9
Malattia e invalidità 34,9 30,9
Pensioni 44   59,2
Casa ed esclusione sociale 3,3 0,3

Fonte: Eurostat.

 

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      Senza entrare nel merito del dibattito sulla spesa pensionistica che sarà affrontato in altra sede, non si può non constatare che l'intervento per riallineare la spesa per gli ammortizzatori sociali e per i servizi per l'impiego a quella degli altri Paesi europei dovrebbe trovare più attenta considerazione.
      Altro elemento di riflessione, utile per individuare le risorse per finanziare il riordino degli ammortizzatori sociali e il rafforzamento dei servizi pubblici e privati per l'impiego, è analizzare la spesa per le politiche passive, ripartite per tipo di intervento, e valutare il saldo fra erogazioni e contributi.
      La successiva tabella 6 mostra come la spesa per gli ammortizzatori sociali (prestazioni e coperture figurative) utilizzati nel settore industriale e dei servizi, compresa l'indennità di disoccupazione non agricola con requisiti ridotti che ha un saldo negativo consistente, sia interamente autofinanziata dai contributi delle imprese e dei lavoratori e mostri anche un saldo attivo (le cifre riportate non tengono conto che una parte delle prestazioni e delle contribuzioni figurative è stata posta a carico della fiscalità generale in relazione a provvedimenti che hanno esteso la platea dei beneficiari, in deroga alla legislazione vigente). Il vero «buco» è rappresentato delle misure di integrazione del reddito nel settore agricolo, che ha un saldo negativo di oltre 1,3 miliardi di euro, cresciuto a 1,6 se si comprende anche il 2005.
      Separare i tre tipi di spesa, anche dal punto di vista dell'autonomia dei fondi, fra trattamenti in caso di sospensione temporanea per ristrutturazione, riorganizzazione e conversione aziendale con la conservazione del rapporto di lavoro, trattamenti in caso di passaggio dallo stato di occupazione a quello di disoccupazione e interventi di tipo assistenziale, così come previsto dalla presente proposta di legge, consente anche un riordino della spesa per rendere trasparente a tutti quali siano i costi e soprattutto da chi e come vengano pagati.
      È utile, a questo punto, fare una valutazione dei costi di uno dei due trattamenti previsti dalla presente proposta di legge, l'indennità di disoccupazione, perché le integrazioni al reddito a tutela delle riduzioni delle ore lavorate in momenti di ristrutturazione, riorganizzazione e conversione aziendale si autofinanziano ampiamente anche solo con i contributi versati attualmente per la Cigo.

TABELLA 6
Ammortizzatori sociali: spese per prestazioni e coperture figurative, entrate contributive e saldi
(milioni di euro - media anni 2002-2004)

 
Prestazioni
Coperture
figurative
Contributi
Saldo
Cassa integrazione guadagni ordinaria 389     233     2.334     1.712    
Cassa integrazione guadagni straordinaria 327     208     827     292    
Indennità di mobilità 917     581     427     -1.070    
Indennità di disoccupazione speciale edile 67     49     84     -31    
Settore industriale e grandi servizi 1.700     1.071     3.672     903    
Indennità di disoccupazione non agricola ordinaria 773     747     2.964     1.444    
Indennità di disoccupazione non agricola con requisiti ridotti 574     813     0     -1.387    
Indennità non agricola 1.347     1.560     2.964     57    
 

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Prestazioni
Coperture
figurative
Contributi
Saldo
Indennità di disoccupazione agricola ordinaria 207     271     86     -393    
Indennità di disoccupazione agricola con requisiti ridotti 11     9     0     -19    
Indennità di disoccupazione agricola speciale (40%) 359     0     0     -359    
Indennità di disoccupazione agricola speciale (66%) 571     0     0     -571    
Agricola 1.148     280     86     -1.342    
Altre forme di sussidio 720     22     457     -284    
        Totale 4.915     2.933     7.179     -666    
Fonte: Elaborazione W2W su dati Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

      Nella nota metodologica allegata alla presente relazione si descrive il modello attraverso il quale si è giunti alla stima della spesa per la riforma dell'indennità di disoccupazione prevista dalla presente proposta di legge.
      Le stime fornite sono il risultato di calcoli effettuati sulla base di ipotesi e di scenari che potrebbero non descrivere effettivamente gli impatti finanziari della riforma, ma che hanno il pregio di essere esplicitati nelle elaborazioni della citata nota metodologica, per consentire a chiunque di valutare il loro grado di realismo e la consistenza e la robustezza del modello adottato.
      Ricordando che nella presente proposta di legge si prevede di coprire tutti coloro che passano dallo stato di occupazione a quello di disoccupazione, il numero di persone beneficiarie dell'indennità raddoppierebbe, passando da circa 484.000 a 817.000, e il tasso di copertura giungerebbe a quota 100 per cento se calcolato rispetto alle persone che passano dallo stato di occupati a quello di disoccupati e a quota 59,9 per cento se calcolato sul totale delle persone in cerca di occupazione con precedenti esperienze lavorative. Si ipotizza, ancora, che la platea dei beneficiari non si modifichi in seguito alla variazione dell'ammontare dei sussidi, grazie a un trattamento che, per la sua consistenza e durata, non disincentivi la ricerca del lavoro, nonché all'obbligo dei beneficiari di partecipare a percorsi formativi e ad altre attività di reimpiego erogati dai servizi pubblici e privati per l'impiego e ad accettare le proposte di lavoro loro offerte.
      Secondo questa stima, il costo per l'erogazione dell'indennità di disoccupazione sarebbe di circa 6,2 miliardi di euro, a fronte di circa 4,1 miliardi di euro dell'attuale costo dei trattamenti che verrebbero sostituiti (Cigs, mobilità, disoccupazione edile speciale e indennità di disoccupazione ordinaria), con un saldo negativo di circa 2,1 miliardi di euro.
      Ma questa stima suppone che tutti i percettori del sussidio lo utilizzino interamente per l'intera durata prevista. Ma questo non solo non accade nella realtà perché una percentuale significativa dei disoccupati trova lavoro nei primi sei mesi, ma è possibile ridurre ulteriormente il periodo in cui il disoccupato percepisce l'indennità con opportune politiche di «welfare to work», in cui si vincoli, come previsto dalla presente proposta di legge, l'erogazione degli ammortizzatori sociali al concorso attivo del disoccupato nella ricerca del lavoro: colloqui orientativi, percorsi di formazione personalizzata e di altri servizi di collocamento. Se si suppone che il 40 per cento dei beneficiari dell'indennità di disoccupazione trovi lavoro entro i primi tre mesi, sia autonomamente che grazie ai servizi di «welfare to work» previsti dalla presente proposta di legge, la spesa si ridurrebbe di oltre 1.200 milioni

 

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di euro, assestandosi intorno ai 5.000 milioni di euro. La differenza rispetto all'attuale spesa sarebbe di poco meno di 900 milioni di euro (vedi tabella 7), facilmente reperibile dal momento che si prevede che anche le imprese al di sotto dei quindici dipendenti contribuiscano al finanziamento di questo strumento assicurativo contro la disoccupazione.

TABELLA 7
Stime della spesa aggiuntiva per il finanziamento dell'indennità di disoccupazione (Proposta di legge)

Spesa 2004 per Cigs, mobilità, indennità di disoccupazione ordinaria ed edile speciale 4.128
Spesa per indennità di disoccupazione (proposta di legge) 6.255
    Saldo +2.127
Spesa per indennità di disoccupazione (proposta di legge) con 40% beneficiari occupati nei primi 6 mesi 5.000
    Saldo +872

      Probabilmente questa stima deve essere ulteriormente ridotta alla luce della diminuzione delle persone in cerca di occupazione che si è registrata nel 2006, con circa 1,6 milioni di persone in cerca di occupazione a fronte dei 2 milioni del 2005 utilizzati per la stima dei costi.
      Se i trattamenti assicurativi previsti dalla presente proposta di legge (integrazioni al reddito a tutela delle riduzioni delle ore lavorate in momenti di ristrutturazione, riorganizzazione e conversione aziendale e indennità di disoccupazione) possono essere completamente autofinanziati con i contributi versati dalle imprese e dai lavoratori, è invece necessario prevedere risorse finanziarie adeguate, al momento non precisamente quantificabili, per la costituzione di un fondo annuale per il rafforzamento delle strutture dei centri per l'impiego e dell'Agenzia nazionale, impegnati nelle attività di gestione dell'indennità di disoccupazione. Infatti, come abbiamo già visto, il successo della riforma si fonda in gran parte sulla capacità dei servizi pubblici e privati di fornire servizi adeguati ed efficienti per l'aumento dell'occupabilità dei disoccupati e per il loro reinserimento, quanto più veloce, nel mondo del lavoro.
      Per quanto riguarda le questioni costituzionali circa le competenze esclusive dello Stato e quelle concorrenti fra Stato e regioni in materia di lavoro e di previdenza sociale, è indubbio che gli ammortizzatori sociali rientrino nell'ambito delle materie attribuite alla competenza esclusiva dello Stato. L'articolo 38, secondo comma, della Costituzione, infatti, prevede per i lavoratori il diritto ad avere mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia e vecchiaia, disoccupazione involontaria, e ciò deve essere attuato attraverso un trattamento uniforme a livello nazionale.
      Pacifica è anche la riconduzione alla competenza esclusiva dello Stato della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni erogate dai servizi per l'impiego, in particolare per quanto riguarda le misure di politica del lavoro che determinano le condizioni indispensabili per rendere effettivo il diritto al lavoro (informazione, orientamento, formazione professionale e misure di inserimento), riconducibili all'articolo 4, primo comma, della Costituzione, perché si riferiscono alle condizioni indispensabili per rendere effettivo il diritto al lavoro.
      Questo non limita la possibilità per le regioni di intervenire in materia, determinando, in relazione alle caratteristiche del territorio, criteri migliorativi, come è già stato fatto, con apposite delibere, da Emilia-Romagna, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Campania, Liguria e da altre regioni. Le regioni potrebbero ben prevedere - sempre nel rispetto dei princìpi fondamentali fissati dalla legge statale - sviluppi della «previdenza complementare ed integrativa», in particolare per migliorare i livelli essenziali delle prestazioni fissati dallo Stato in modo uniforme per tutte le regioni. In tale caso sarebbero le stesse regioni competenti a determinare

 

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le condizioni di accesso alle relative prestazioni, nell'ambito dei princìpi generali fissati dalla normativa statale, dato che, ai sensi dell'articolo 117, terzo comma, la materia della previdenza integrativa è stata ricondotta nell'ambito della competenza concorrente fra Stato e regioni.
      Non è, di conseguenza, esposto a censure di costituzionalità tutto l'impianto della presente proposta di legge che riforma il sistema degli ammortizzatori sociali che stabilisce le modalità per l'erogazione dei trattamenti.
      Per quanto riguarda i compiti dell'Agenzia nazionale, la presente proposta di legge prevede espressamente che le attività di assistenza tecnica ai servizi pubblici per l'impiego debbano essere concordate con le regioni, fatta salva la competenza dello Stato di legiferare per innalzare gli standard di qualità dei servizi determinando nuovi e più incisivi livelli essenziali delle prestazioni.
      Anche per quanto riguarda l'incarico conferito all'Agenzia nazionale di realizzare un sistema di monitoraggio e di valutazione, statistico e qualitativo, degli effetti della riforma sul mercato del lavoro, la Corte costituzionale si è già espressa (sentenza n. 50 del 2005) affermando che il «coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale» è previsto come materia di competenza esclusiva dello Stato dall'articolo 117, secondo comma, lettera r), della Costituzione e che «La conduzione diretta del sistema informativo statistico ed informatico - dato che questo non può non riguardare l'intero territorio nazionale - costituisce il mezzo idoneo a che il sistema stesso risulti complessivamente coordinato».
      La riforma del sistema degli ammortizzatori contenuta nella presente proposta di legge è, del resto, in linea con gli obiettivi indicati dagli orientamenti annuali dell'Unione europea in materia di politiche passive e attive per il lavoro e con la maggioranza dei sistemi di sostegno al reddito in caso di disoccupazione dei Paesi europei esaminati.
      Nella maggioranza dei Paesi europei prevalgono, infatti, i seguenti criteri:

          a) tipologia: separazione netta fra misure assicurative/contributive rivolte ai disoccupati e misure assistenziali riservate alle persone indigenti o che non hanno maturato il diritto all'indennità di disoccupazione. In nessun Paese è previsto un istituto, come la cassa integrazione italiana, rivolto ai lavoratori sospesi con la conservazione del rapporto di lavoro;

          b) campo di applicazione: i beneficiari sono tutti i lavoratori dipendenti, senza distinzione per settore di appartenenza, diversamente dall'Italia. Solo in alcuni Paesi l'indennità di disoccupazione è estesa al pubblico impiego e ad alcune categorie di lavoratori autonomi e solo in Spagna è estesa ai detenuti;

          c) requisiti principali: in tutti i Paesi l'indennità di disoccupazione viene erogata solo a coloro che partecipano a programmi di politica attiva del lavoro;

          d) requisiti di anzianità contributiva o assicurativa: i requisiti minimi richiesti vanno da un periodo contributivo di almeno 6 mesi negli ultimi 22 mesi della Francia agli ultimi 25 mesi del Regno Unito;

          e) ammontare della prestazione: l'indennità di disoccupazione è molto variabile perché si passa da un tasso di sostituzione della retribuzione del 90 per cento (Danimarca) agli 82 euro la settimana del Regno Unito, con una tendenza generalizzata alla riduzione dell'ammontare della prestazione. La media calcolata dall'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico si aggira sul 66 per cento;

          f) durata della prestazione: anche se nessun Paese si avvicina ai 7 anni cumulabili in Italia, si passa dai 4 anni della Danimarca ai 182 giorni del Regno Unito, con alte percentuali di persone che vengono inserite nel mondo del lavoro prima della scadenza del limite massimo;

 

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          g) sanzioni: nella maggior parte dei Paesi sono previste sospensioni temporanee o definitive del trattamento, in relazione alla gravità dell'inadempienza;

          h) finanziamento delle prestazioni: la parte assicurativa delle prestazioni è coperta da contributi abbastanza alti: 8 per cento in Danimarca (comprensivo dell'assicurazione contro la disoccupazione, della cassa malattia e dell'assicurazione contro l'invalidità), 6,4 per cento in Francia, 6,5 per cento in Germania, 8,65 per cento in Olanda, fino a 12,8 per cento nel Regno Unito e 7,5 per cento in Spagna. La parte assistenziale è coperta dalla fiscalità generale;

          i) competenze per le politiche attive: nella maggior parte dei Paesi le politiche attive associate ai sussidi di disoccupazione sono gestite da enti o da agenzie nazionali.

      Lo schema successivo (tabella 8) mostra, in estrema sintesi, gli elementi di criticità presenti nell'attuale sistema di ammortizzatori sociali e le soluzioni avanzate dalla presente proposta di legge di riforma.

TABELLA 8
Confronto fra criticità e soluzioni della proposta di legge

Criticità dell'attuale sistema
di ammortizzatori sociali
Soluzioni della proposta di legge
Privilegio delle tutele e protezioni per la conservazione del posto di lavoro Assicurazione di una piena occupabilità durante tutta la vita lavorativa, attraverso strumenti assicurativi generalizzati e di breve durata
Mancata separazione fra trattamenti temporanei per ristrutturazione, riorganizzazione e conversione aziendale, di disoccupazione e assistenziali Riforma del sistema basato su tre livelli distinti
Disorganicità e soprapposizione dei trattamenti e stratificazione normativa Semplificazione normativa attraverso la previsione di due trattamenti unici per l'integrazione al reddito a tutela delle riduzioni delle ore lavorate in momenti di ristrutturazione, riorganizzazione e conversione aziendale e indennità di disoccupazione
Basso tasso di copertura dei disoccupati (25 per cento) e condizionamento del sussidio al settore aziendale Erogazione del sussidio di disoccupazione sulla base della condizione soggettiva di passaggio dallo stato di occupazione a quello di disoccupazione
Mancata copertura dei lavoratori flessibili Estensione ai lavoratori autonomi e ai collaboratori della possibilità di creare fondi assicurativi per i periodi di disoccupazione
Eccessiva generosità del sussidio che disincentiva la convenienza ad accettare un lavoro e abuso delle deroghe Sussidi non competitivi, per entità e durata, con i compensi offerti dal mercato del lavoro
 

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Criticità dell'attuale sistema
di ammortizzatori sociali
Soluzioni della proposta di legge
Mancata integrazione fra politiche attive e passive Vincolo della sottoscrizione del patto di servizio per l'erogazione del sussidio
Inapplicabilità dei criteri di eleggibilità per le prestazioni Conoscenza in tempo reale delle persone da attivare e affidamento a un'agenzia terza delle sanzioni
Separazione fra erogatore dei sussidi e loro gestore Affidamento a un'agenzia nazionale dei due compiti attraverso l'INPS
Incompatibilità finanziarie Sistema assicurativo autofinanziato sulla base esclusiva dei contributi e delle azioni per ridurre in modo significativo la durata del sussidio

      È utile precisare, infine, che la presente proposta di legge non si prefigge di affrontare anche il tema degli interventi di tipo assistenziale in caso di esaurimento del diritto alle prestazioni previste dalla medesima proposta di legge o nei casi in cui il disoccupato non può beneficiare, per mancanza dei requisiti assicurativi, delle misure definite dalla stessa, nei quali ricadono le altre forme di integrazione al reddito e tutte le attuali indennità a requisiti ridotti in tutti i settori, compreso quello agricolo.
      Il carattere prevalentemente assistenziale di tali interventi e la sovrapposizione caotica di norme che si è creata nel tempo sarebbero in qualche modo affrontabili con un intervento di riordino, se non riguardassero, da una parte, un numero variegato di categorie (artigiani, soci di cooperativa, insegnanti di scuole pubbliche non di ruolo, personale straordinario delle poste, lavoratori a domicilio, detenuti, lavoratori dello spettacolo, lavoratori domestici eccetera) e, dall'altra, il settore agricolo, con il suo peso esorbitante sulle spese a carico della finanza pubblica per le politiche di protezione sociale dei disoccupati. Come abbiamo già visto, il settore agricolo, che contava nel 2004 circa 990.000 addetti (4,4 per cento rispetto al totale delle forze di lavoro), determina interamente il disavanzo dell'attuale sistema di ammortizzatori sociali con un saldo passivo di 1,3 miliardi di euro a fronte di contributi pari a soli 86 milioni di euro. Sistema che, altrimenti, sarebbe completamente autosufficiente grazie ai contributi dell'industria e dei grandi servizi. Per sintetizzare l'anomalia dei sussidi ai lavoratori agricoli è sufficiente rilevare che a fronte di poco meno di un milione di addetti, ben 587.000 lavoratori agricoli - pari al 60 per cento degli occupati - beneficiano di un sussidio in media di 186 euro al mese, erogato con procedure che hanno sollevato non pochi rilievi da parte degli organi di controllo.
      La decisione di non affrontare questo tema, relativamente semplice per quanto riguarda le soluzioni, del resto adottate da tutti gli altri Paesi europei (separazione della parte assicurativa da quella assistenziale per i lavoratori il cui reddito è inferiore a un minimo stabilito, da finanziare interamente con la fiscalità generale nell'ambito di un fondo separato rispetto a quello degli ammortizzatori sociali), ma molto complesso per quanto riguarda gli interessi consolidati che vengono toccati (che sono, in parte, anche legittimi), deriva essenzialmente da una valutazione di opportunità, e cioè di non legare il successo della riforma degli ammortizzatori sociali, che interessa milioni di lavoratori, alle prevedibili e non facilmente superabili resistenze della categoria dei lavoratori agricoli.

 

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      La presente proposta di legge si compone di nove articoli.
      L'articolo 1 definisce l'oggetto della delega e le modalità di adozione dei decreti legislativi delegati.
      L'articolo 2 definisce i princìpi e criteri direttivi generali della riforma degli ammortizzatori sociali a cui dovranno attenersi i decreti legislativi attuativi della legge delega.
      L'articolo 3 definisce i princìpi e criteri direttivi particolari per l'istituzione di un unico trattamento di integrazione della retribuzione in caso di sospensione temporanea per ristrutturazione, riorganizzazione e conversione aziendale con la conservazione del rapporto di lavoro esteso a tutti i lavoratori dipendenti, anche in imprese con meno di quindici addetti, e limitato strettamente ai casi di sospensione o di riduzione dell'attività produttiva dovuta ad eventi temporanei non imputabili all'imprenditore o ai lavoratori oppure a situazioni di mercato. Per circoscrivere l'impiego e l'abuso di questo istituto si prevede di limitare a tre mesi continuativi la durata del trattamento, in conformità con quanto aveva previsto il legislatore per la Cigo, senza possibilità di deroghe e con l'esclusione della sospensione a zero ore, di equiparare il sostegno al reddito a quello previsto dall'articolo 4 per l'indennità di disoccupazione e di impedire l'utilizzo di questo trattamento nelle situazioni di crisi irreversibile, non consentendo di beneficiare dell'indennità di disoccupazione prima di dodici mesi.
      L'articolo 4 definisce i princìpi e criteri direttivi particolari per l'istituzione di un unico trattamento assicurativo in caso di passaggio dallo stato di occupazione a quello di disoccupazione (indennità di disoccupazione), sostitutivo dell'indennità di disoccupazione ordinaria, della Cigs, dell'indennità di mobilità, dell'indennità di disoccupazione speciale edile e delle concessioni in deroga, estendendolo a tutti i lavoratori a prescindere dal settore in cui lavorano e dalla tipologia contrattuale, legandolo solo al requisito del versamento dei contributi. Si prevede di garantire un sussidio pari al 65 per cento del salario per i primi sei mesi, al 55 per cento dal settimo al diciottesimo mese e un reddito minimo pari a 500 euro per ulteriori sei mesi massimi. L'erogazione di tale sussidio è vincolata alla sottoscrizione del disoccupato, entro due mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro, di un patto di servizio che stabilisca gli obblighi reciproci del servizio competente e del disoccupato. Quest'ultimo si impegna, pena la sospensione o la decadenza dal sussidio, all'immediata disponibilità allo svolgimento di un'attività lavorativa, alla ricerca attiva del lavoro, a partecipare a interventi formativi o, comunque, a progetti proposti dai servizi per l'impiego o dalle agenzie accreditate. Si prevede, inoltre, l'applicazione degli sgravi contributivi e degli altri benefìci, attualmente previsti dalle norme per i lavoratori in Cigs e in mobilità, a favore delle imprese che assumono un disoccupato beneficiario del sussidio di disoccupazione. La disposizione prevede, infine, la completa riforma delle modalità di erogazione dell'indennità di disoccupazione e delle politiche attive del lavoro nei confronti dei beneficiari dell'indennità. La nuova procedura prevede che il disoccupato, titolare dei requisiti previsti dalla presente proposta di legge, debba presentare la domanda per ottenere l'indennità di disoccupazione al centro per l'impiego competente e sottoscrivere il patto di servizio con l'indicazione degli obblighi reciproci del servizio competente e del beneficiario dell'indennità. Il centro per l'impiego, dopo aver verificato la conformità formale della domanda presentata dal disoccupato, comunica all'Agenzia nazionale per la gestione dell'indennità di disoccupazione e il reinserimento dei lavoratori disoccupati il suo nominativo e gli altri dati anagrafici e professionali affinché a sua volta l'Agenzia li comunichi all'INPS per la valutazione di merito e per l'erogazione dell'indennità. I centri per l'impiego dovranno garantire ai beneficiari del trattamento di disoccupazione l'erogazione di servizi standard di qualità, anche con l'assistenza dell'Agenzia nazionale, e comunicare a quest'ultima i nominativi dei disoccupati inadempienti.
 

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In seguito a questa comunicazione, l'Agenzia nazionale notificherà all'INPS i nominativi dei lavoratori sospesi o decaduti, per inadempienza, dal trattamento di disoccupazione.
      L'articolo 5 definisce i princìpi e criteri direttivi particolari per l'estensione ai lavoratori autonomi, che decidano volontariamente di versare i contributi sul proprio reddito, del trattamento in caso di cessazione del rapporto di lavoro, anche attraverso fondi settoriali la cui gestione economica deve essere autosufficiente. È invece prevista l'iscrizione obbligatoria per i titolari di collaborazioni coordinate e continuative, in ragione della particolare debolezza e precarietà di tale categoria di lavoratori.
      L'articolo 6 affida all'agenzia tecnica del Ministero del lavoro e della previdenza sociale «Italia Lavoro Spa» lo svolgimento dei compiti dell'Agenzia nazionale per la gestione dell'indennità di disoccupazione e il reinserimento dei lavoratori disoccupati, nell'ambito del modello previsto dall'articolo 5, e quello di coordinare, con l'accordo delle regioni, le politiche attive del lavoro nei confronti dei beneficiari. Gli obiettivi di queste attività devono essere l'aumento dell'occupabilità dei disoccupati, la riduzione in modo significativo dei tempi medi del loro rientro nel mercato del lavoro e la realizzazione dei livelli essenziali delle prestazioni dei servizi pubblici per l'impiego fissati dallo Stato in modo uniforme per tutto il Paese. Si prevede che debba essere assicurata un'adeguata rappresentanza delle regioni nell'Agenzia nazionale, che i nominativi dei disoccupati che hanno richiesto l'indennità di disoccupazione e che hanno sottoscritto il patto di servizio siano inseriti, a cura della medesima Agenzia, nella Borsa continua nazionale del lavoro di cui all'articolo 15 del decreto legislativo n. 276 del 2003 e che alla stessa Agenzia sia affidato il compito di creare un sistema informativo di monitoraggio e di valutazione delle attività di gestione dell'indennità di disoccupazione e delle attività di reinserimento dei disoccupati. Si prevede, infine, l'istituzione di un fondo per il rafforzamento delle strutture dei centri per l'impiego e dell'Agenzia nazionale.
      L'articolo 7 definisce i princìpi e criteri direttivi particolari per la revisione dei contributi sociali, con l'obiettivo di consentire di finanziare autonomamente il sistema, senza oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato, a decorrere, al più tardi, dal 2012. Con decreti legislativi correttivi o integrativi potranno conseguentemente essere modificate le aliquote per introdurre gli aggiustamenti necessari.
      L'articolo 8 prevede che la copertura degli oneri derivanti dall'attuazione della legge, pari a 1 miliardo di euro annui, sia assicurata, fermo restando l'obiettivo definito all'articolo 7, mediante la riduzione della spesa previdenziale in relazione ai trattamenti riconosciuti a decorrere dal 1o gennaio 2008. A questo fine si prevede, pertanto, l'aumento graduale da 60 a 65 anni di età del requisito anagrafico richiesto alle lavoratrici per la pensione di vecchiaia con il sistema contributivo e l'aumento, a decorrere dal 1o gennaio 2010, di un anno, ogni due anni, fino al 2018, del requisito anagrafico richiesto, ai lavoratori dipendenti e autonomi, per la pensione di anzianità.